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La nonna de Roma

Quant’era bella la Roma dei romani, delle viette de’ Trastevere piene di botteghe. Del mercato di Campo de’ Fiori in cui le sore andavano a comprare la verdura fresca, della banda del buco che tentava furti improbabili. Dei ragazzini che giocavano sul lungotevere e delle mamme che li chiamavano affacciandosi dalla finestra.

Beh, quella Roma è scomparsa per sempre. Si cercano riferimenti che ci riportino a quegli anni, qualcosa che ci ricordi chi eravamo, e di come, pur essendo la capitale, rimanevamo il più grande e variegato paese dello stivale. Eterogenea, campanilistica e mai banale, in cui il nasone era istituzione si mangiava l’amatriciana al Ghetto dalla sora Cesira e non a Ponte Milvio dal sushi di turno. Tanti simboli di quella Roma sono scomparsi ma alcuni rimangono indelebili nella memoria di tutti, anche di quelli troppo giovani per averli vissuti in prima persona.

Uno di questi è senza alcun dubbio la Sora Lella, al secolo Elena Fabrizi. Simbolo imperituro di quella Roma schietta e divertente, lamentosa ma mai imbronciata, severa e orgogliosa con una gran voglia di dimostrare al mondo che l’essere “Caput Mundi” non era un retaggio antico ma una realtà contemporanea. Pochi personaggi nella storia della romanità sono riusciti ad unire un popolo così diviso come quello romano; Romanisti contro Laziali, Roma Sud contro Roma Nord, Coatti contro Pariolini o Figli di papà contro Radical Chic.

Nata nel 1915, ultima di sei fratelli, il più noto l’immortale Aldo, era cuoca, dispensatrice di consigli, tifosa e straordinaria caratterista. Conosciuta dal grande pubblico grazie alla sua collaborazione in diversi film di Carlo Verdone, cominciò la sua carriera nello spettacolo in una di quelle radio libere che animavano l’etere negli anni ’70, dove rispondeva alle più disparate domande delle donne romane: “mi marito me tradisce!che devo fa’?”, “ma che faccio ce lo metto un po’ de scalogno nell’amatriciana?”, “mi figlio ha scippato la vicina di casa!!”. Le risposte, divertenti, sagge e mai banali, la fecero diventare da subito un punto di riferimento per molte donne, e la fecero notare anche ad un giovane attore e regista, che in quegli anni avrebbe lanciato la sua straordinaria carriera.

sora lella 1

È proprio Verdone a raccontare il suo primo incontro con la “Sora” per eccellenza: era il 1980 e stavo per realizzare Bianco Rosso e Verdone, pensai immediatamente a lei per il ruolo della nonna. La andai a trovare al bar di via dei Pettinari dove alle 12 si recava per il suo immancabile Crodino. Mi avvicinai e le dissi, “salve sono Carlo Verdone, le andrebbe di fare un provino per il mio prossimo film?”. Mi guardò interdetta, non ce credeva, pensava fosse uno scherzo. Finalmente la convinsi e mi rispose: “me cojoni, certo che me va!”. Da lì nacque un binomio indimenticabile per il cinema comico italiano. Seppur quella con Verdone non fu la sua prima fatica cinematografica, (I Soliti Ignoti, 1959, C’eravamo Tanto Amati, 1974, La Terrazza, 1980), con l’impersonificazione della nonna in Bianco, Rosso e Verdone entrò definitivamente nel cuore dei romani e di tutti gli italiani.

Finì la sua carriera come ospite di Talk Show e come pioniera di programmi di cucina. Si, perchè la Sora Lella era prima di tutto cuoca; proprietaria di un ristorante a Campo de’ Fiori che poi spostò all’Isola Tiberina (adesso gestito dal figlio), rimangono leggenda la sua cacio e pepe e la sua amatriciana. Proprio nell’omonimo ristorante ha rilasciato una delle sue ultime interviste, in cui raccontava della Roma del dopo-guerra “è quella che rimpiango de più, ce stava la gioventù tanta voglia de ricomincià. Roma era Roma, senza rapimenti, senza droga, senza tangenti..”, del suo carattere e di quello dei romani “schietto e sincero, quello che c’ha ‘n bocca c’ha ner core, ‘npò sbruffone ma senza cattiveria..”. In momenti come questi, in cui stiamo perdendo la nostra identità e il nostro orgoglio una Sora Lella ce manca tanto, che se solo potesse vedé il casino che stanno a fa’ politici e istituzioni direbbe “annamo bene, proprio bene!”.

di Edoardo Iannone

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