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Roma

I 7 migliori insulti romani

Li mortacci tua

La madre di tutte le espressioni romane. Non è solo un insulto, è una condanna generazionale che investe te, i tuoi avi e pure i tuoi discendenti  a seconda di come viene declinata. Si parte dal semplice mortacci tua e si arriva al più elaborato l’anima de li meglio mortacci tua e de chi nun te lo dice, che prende di mira anche tutti gli omertosi che non te c’hanno mai mannato. Ma anche un secco ’tacci, detto a mezza bocca, raggiunge il bersaglio e lascia l’interlocutore perplesso: “Ma che m’ha detto i morti?”

Sì. T’ha detto i morti.

Vattela a pijà…

‘n saccoccia, ner secchio, ‘n quel posto… ognuno la completa a piacere a seconda della propria creatività, l’importante è che tu te ne vada da solo e con convinzione. È l’invito passivo-aggressivo all’autodistruzione, la versione romanesca del più elegante “sparisci, ma fammi anche il favore di farlo subito”.

Te possino cecatte

È una preghiera rovesciata, un modo carino per augurarti una cecità momentanea e selettiva, quella che ti fa sbattere contro un palo ma senza conseguenze gravi, solo per farti capire che hai fatto una ca**ata alla persona sbagliata e che la devi pagà. Ampliando il discorso, è tra le declinazioni più usate del classicone “te possino…”.

T’arivorto come n’carzino

Espressione sartoriale ma minacciosa. È il modo romano per dirti che ti rimetto al contrario, ti smonto pezzo per pezzo, ma con la leggerezza del bucato steso nei vicoli di Trastevere. L’upgrade per chi non ama i carzini lunghi è t’arivorto come n’pedalino, e se te lo dicono insieme non è più solo un’offesa, è cabaret.

Te potessi risvejà freddo

Più che un insulto è una maledizione a lunga conservazione: la frase la senti oggi, di sfuggita, quando una serie di clacson impazziti sul Lungotevere ti fanno realizzare che il verde al semaforo è scattato da 0.2 secondi e tu sei ancora lì fermo come uno stoccafisso. Quasi non ci fai caso a quell’augurio che arriva dritto dall’auto dietro, invece poi te risveji freddo tra vent’anni, e non sai manco il perché. È il “buongiorno” del rancore eterno.

Fatte ‘na padellata de ca**i tua 

È il consiglio spassionato non richiesto più democratico di Roma, offerto gratuitamente a chi si impiccia di quello che non lo riguarda. Vale per chi fa domande fuori luogo, per chi si intromette nella vita privata del romano, per chi guarda il telefono degli altri in metro. La padellata si può sostituire tranquillamente con la “cartocciata” e il messaggio è lo stesso: non ti devi impiccià. 

Sì te pijo, te sdrumo

Il grande finale. Il verbo “sdrumare” è intraducibile, un misto tra disintegrare, smembrare e annullare la dignità altrui. È un insulto che non lascia spazio a trattative, e che in genere arriva col gomito fuori dal finestrino e la quinta ingranata. Non ti corre dietro, ma ti sta inseguendo col pensiero. E tu lo sai. E ti scansi. 




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