Ormai lo sappiamo, a far girare l’economia culturale della capitale, più di qualsiasi piano di rilancio o bando europeo, sono sempre loro: il Colosseo, il Pantheon e Castel Sant’Angelo. La triade dell’Ave Maria capitolina, tre colossi che da soli hanno totalizzato nientepopodimeno che il 75% degli incassi museali del Lazio, lasciando al resto della regione le briciole.
E non è solo una questione di bellezza, che a Roma questa città è democratica e diffusa, ma di concentrazione. Di desiderio compulsivo di selfie da cartolina e biglietti d’entrata che si acquistano a distanza di fuso orario, mesi prima, per poter dire “io c’ero e ve lo dimostro con questo selfie, tiè”.
I dati che emergono dal report Izi Lab sono clamorosi: 3 monumenti su 190 portano a casa 3 euro su 4. Tradotto: Roma ha tre superstar e una marea di caratteristi dimenticati. La presidente del Parco archeologico, Stefania Smeriglio, ha fatto notare che sì, è bellissimo avere questi picchi di visitatori in luoghi straordinari e stra-conosciuti, ma è arrivato il momento di far scoprire anche il lato B della città eterna. Quello meno fotografato, ma non per questo meno incredibile. L’idea è semplice: decentrare. Spostare l’attenzione, e con lei i flussi di visitatori, anche fuori dal Grande Raccordo Turistico: mica per punizione, ma per fargli scoprire che Roma non finisce a Piazza Venezia. Anzi, è proprio lì che comincia il resto.
Il turismo nella nostra città non manca affatto, è solo un po’ miope. Si ferma dove lo portano le guide, per non dire i reels, le pubblicità con la musica epica o le serie in cui trentenni americani scoprono Trastevere come fosse Machu Picchu. Quindi va benissimo il record di incassi, ci mancherebbe, ma forse è il caso di usare questi soldi per raccontare anche il fuori campo: per restaurare, segnalare, valorizzare anche il resto. Per far capire che la bellezza, a Roma, è un affare da top 3 ma non solo. È letteralmente ovunque, se uno si prende la briga di guardare.
