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Tosel il protagonista. La grande ferita della curva vuota

Di Antonio La Trippa – Un’atmosfera surreale, quasi grottesca, sarà quella che andrà in scena questa sera allo stadio Olimpico in occasione del big match Roma-Inter. Un buco gigante, uno spazio vuoto dovuto all’espulsione di 30.000 spettatori circa. Una situazione che raggiunge quasi l’inimmaginabile. Nell’era delle pay-tv, in cui gli stadi vengono letteralmente svuotati per agevolare sempre di più la comodità dei divani di casa, troppa gente sta mettendo mano sullo sport più amato dagli italiani.

Spesso si sente parlare di partite falsate dagli arbitri, giudici supremi di una partita di calcio. Sin dalle scuole calcio, infatti, ti dicono di comportarti in un determinato modo sul campo in base alla fama dell’uomo, o anche donna oramai, che arbitrerà la partita. C’è chi fischia tutto, chi ha il cartellino facile, chi lascia scorrere, chi è un “cornuto” e c’è chi vuole fare il protagonista. Tutte personalità che, con la propria valutazione soggettiva, detengono lo scettro della decisone vista la nomina a loro conferita dal regolamento calcistico.

Ma questa volta il protagonista non è un arbitro. Non è neanche un prefetto che, per motivi di ordine pubblico, può decidere l’orario e/o la sospensione di un incontro. Non è nemmeno un presidente che può decidere di ritirare la propria squadra prendendosi le responsabilità delle conseguenza. Stasera il vero protagonista sarà il dottor Gianpaolo Tosel, magistrato italiano ed attuale giudice sportivo della serie A. In carica dal 2007 e nominato dal commissario straordinario Guido Rossi in seguito allo scandalo di Calciopoli, il Giudice Sportivo ha fatto spesso parlare di sé. Impegnato a giudicare su situazioni sempre molto delicate, da episodi di razzismo a scontri fra tifoserie, dalla tutela delle terna arbitrale alle sanzioni per le prove tv, il paladino della giustizia sportiva Tosel è stato più volte il protagonista indiscusso delle cronache calcistiche. Ma oggi i riflettori sono tutti per lui, l’uomo che da solo sta cambiando la storia del calcio italiano.

Viaggia in parallelo all’esistenza di questo sport il cosiddetto “sfottò” fra tifoserie. Un qualcosa che fa parte del dna di uno stadio, che da colore ad una partita, che suscita simpatia, goduria e permalosità nello stesso momento. Lo sfottò è uno dei momenti più attesi da chi decide di andare allo stadio, da quella gente che non si limita ad assistere alla semplice manifestazione sportiva. Andare allo stadio non è come andare a teatro o al cinema dove si deve rimanere in silenzio. Andare allo stadio è urlare a squarcia gola incitando i propri colori e denigrando quelli degli avversari. È una difesa del proprio territorio, della propria maglia, della propria città. Non si sta parlando di violenza, la quale viene spesso usata insultando i principi di questo sport, ma di un folklore che da sempre fa da cornice ai ventidue che stanno in campo. Logicamente controllare, gestire e regolamentare tanta violenza che noi denigriamo non è cosa facile, ma sicuramente la modalità con cui Tosel cerca di arginare tali comportamenti è assolutamente sbagliata, ridicola. Uno stadio semi vuoto è un fallimento per lo sport, a maggior ragione in una piazza come quella di Roma che, è inutile stare qui a scriverlo, può regalare delle emozioni che solo vivendole si possono capire.

Non è giusto che tramite la penna di un soggetto, forse anche disinteressato al gioco del calcio, chi ama questo sport ma, soprattutto, chi ama andare allo stadio si debba privare di quelle emozioni che solo le gradinate di uno stadio, del proprio stadio, riescono a trasmettere. Un braccio di ferro fra un uomo e i tifosi. Una presa di posizione che vede come giustificazione l’applicazione di regole assurde che non hanno nulla a che fare con la repressione della violenza. Manie di protagonismo di una persona che sta abusando letteralmente della propria posizione. Uno spazio vuoto pari quasi alla metà dello stadio, questo è quello che si vedrà stasera.

Il tutto per uno dei tanti cori che, da sempre, vengono cantati negli stadi di tutto il mondo. Sono state insultate madri, mogli, figli, parenti, colori sociali; sono state offese città, storie, popoli; sono stati intonati i migliori cori per provare a ridicolizzare il più possibile i propri avversari sia sul campo che sugli spalti. Ma la discriminazione territoriale no, non passa. Inneggiare ad un vulcano, quasi potessero gli stessi tifosi provocarne un’eruzione con quelle parole, proprio non si può fare. Peraltro, la novità, è che i fatti riguardanti una manifestazione sportiva come la Coppa Italia si ripercuotono improvvisamente su un’altra e distinta competizione, la serie A.

La rivincita dello sport sta proprio nel vedere come chi, dopo aver subito questa terribile offesa, reagisce rispondendo ironicamente allo stesso modo auto-insultandosi, usando l’unico mezzo ritenuto ormai lecito per far capire dove siamo caduti in basso. Un’altra notizia che ha fatto discutere in questi giorni è la semplice ammenda rifilata alla Juventus per l’esposizione di alcuni striscioni “insultanti la memoria della tragedia di Superga”, stricioni esposti dai sostenitori juventini durante l’ultimo incontro di campionato che li vedeva impegnati proprio nel derby contro i cugini del Torino. Ma ciò che più sorprende è quello che si legge scorrendo fra le righe del comunicato firmato dall’ormai famosissimo giudice Tosel: “entità della sanzione attenuataper avere la Società concretamente operato con le Forze dell’ordine a fini preventivi e di vigilanza.

Cioè gli steward sono intervenuti prontamente allo Juventus Stadium per rimuovere gli striscioni, mentre all’Olimpico di Roma non hanno impedito a trentamila persone di cantare cori che, inequivocabilmente, contenevano gli estremi di un “comportamento discriminatorio per motivi di origine territoriale”. Un metro di giudizio davvero curioso, oserei dire. Forse questo atteggiamento è dovuto dagli innumerevoli torti per cui i napoletani accusano l’Illustrissimo giudice sportivo di aver falsato alcune passate stagioni, viste le squalifiche dallo stesso imposte a giocatori partenopei in momenti chiave del campionato. Un po’ quando l’arbitro, diciamo in mala fede, si comporta di un determinato modo per sopperire ad un errore precedente

Intanto stasera c’è una grande partita.

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