Nella notte tra il 15 e il 16 marzo, tra le strade del rione Campitelli, il Lungotevere e il Ghetto, un corteo di artisti, poeti e cuori infranti ha scortato un feretro simbolico, piangendo la scomparsa di un sentimento ormai sopraffatto dalla tirannia delle dating app e degli algoritmi: Amore.
Per i partecipanti che hanno inscenato il funerale dell’Amore Romantico, il romanticismo non è stato solo colpito, ma brutalmente assassinato dalla modernità, che ha sostituito il corteggiamento con un swipe right e le lettere d’amore con gli “Hey, u up?” nel pieno della malinconia di una sbronza a mezzanotte. E così, tra sguardi increduli di turisti e passanti, la processione ha attraversato la città come un mix tra un requiem dannunziano e una scena uscita da un film di Fellini. Roba che se po’ fa solo a Roma, ovviamente.
La marcia si è fermata in piazza della Bocca della Verità, di fronte al tempio di Ercole Vincitore, dove gli innamorati disperati hanno gettato nel fuoco i resti delle loro illusioni sentimentali: poesie, vecchie lettere d’amore, screenshot di chat rimaste senza risposta. È stato un vero e proprio rogo purificatore per dare all’Amore una possibilità di rinascita dalle ceneri del ghosting, del pocketing, dei “cuoricini” e delle relazioni virtuali.
Dietro questa teatrale celebrazione del sentimento più nobile c’è un collettivo di artisti, filosofi e cineasti capitanati da Giovanni Calvario, mecenate, imprenditore culturale e anima di uno dei più vivaci cenacoli culturali romani. La sua missione? Provare a riportare il romanticismo in un’epoca di emoji e di appuntamenti decisi dagli algoritmi. Certo è che al mondo non esiste cornice migliore per portare a termine una missione del genere. Buona fortuna.