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Chi ce lo fa fa’ di rimanere a Roma?

Di Francesco Cianfarani – Quando non lavori e non hai il wifi h24 può succedere che fai una cosa ormai molto rara: pensare. E dopo un po’ di riflessioni, idee, ponderazioni, la domanda a cui siamo giunti è una sola: chi ce lo fa fa’ di rimanere a Roma?

Chi ce lo fa fare di rimanere qui? Chi ce lo fa fare di rimanere in una citta’ cara come Londra e con gli stessi servizi di Bangkok? Viviamo nella città più bella del mondo, ma solo per i turisti. Chi ci vive viene torturato dalla quotidianità, in cui non c’è una cosa che vada bene e nessuno la vuole risolvere. Ci sono solo faide interne politiche e ideologiche (anche tra la gente normale), in cui l’unico scopo è avere ragione e non il bene comune. Una città in cui non c’è obiettività è una tragedia.

E quello che abbiamo intorno ci fa venire voglia di un magna-magna generale che va dalle aste del Fantacalcio fino alle Srl. Non ci aiutiamo tra di noi e siamo trattati come dei colpevoli dall’alto: le buche, il traffico, i parcheggiatori, la spazzatura, gli autobus, tutte cose nate per far comprare un nuovo Suv a qualcuno. Questa non è la Roma che si merita Roma.

E’ vero, Roma è caotica e furba (per non dire disonesta) dai tempi dell’Impero Romano, dove corruzione e vizi erano pane quotidiano, ma l’umanità si dovrebbe evolvere. E invece qui ci sono solo Smart al posto della bighe, Spritz invece del vino novello, iPhone al posto dei giullari.

Neanche i giovani romani non sono più i giovani di una volta, sono disillusi, passano gli anni più belli della loro vita a mandare mail con il CV in allegato, a fare stage sottopagati o a lavorare in nero per non pagare le tasse e per poi potere essere liquidati da un momento all’altro. I figli dei ricchi sono più poveri dei genitori, i figli dei poveri non possono andare all’università, non ci sono sogni: il sogno romano e’ quello di ereditare una casa di proprieta’. E una città senza sogni muore ogni giorno.

Un tempo era uguale ma almeno c’era il fascino della “metropoli provinciale”, adesso neanche quello. Le vecchie botteghe hanno lasciato spazio ad Accesorize e Zara, i vecchi alimentari agli Auchan e ai Carrefour Express, i barbieri a Baldestein, le osterie ai cocktail bar in stile milanese. Roma ha provato a cambiare ma non c’è riuscita, rimanendo con i suoi difetti congeniti. Come una donna che tenta la via della chirurgia plastica, le viene male e in piu’ resta con il suo caratteraccio.

Quindi torna la domanda iniziale: chi ce lo fa fare? Mamma Roma addio cantava Remo Remotti, e lui se ne voleva andare da una Roma molto più romantica rispetto a quella di oggi. La Roma in cui un tuffo nella fontana lo si poteva fare, e non diventava uno specchietto per le allodole per dimostrare ordine mentre intorno c’è lo sfascio. Come se fosse quello il problema di Roma. Come se fossero i turisti che mangiano un panino, o i panni stesi tra i palazzi del centro, o i lucchetti dell’amore sui ponti, il problema.

Su quello si fa una grande attenzione, mentre la gente vive una città di merda. E la gente che vive una città di merda diventa automaticamente gente di merda dopo un po’, non per colpa o per negligenza, ma perché una città così ti frustra, ti corrode, ti fa venire voglia di scappare ma senza energia e soldi, e senza speranza. E oltretutto ti obbliga a un arrivismo forzato. Eh si, perché in una città in cui costa tutto tanto e i servizi sono da terzo mondo chi vuole vivere bene deve guadagnare tanto, e questo porta le persone a pensare solo ad arrivare, e questo porta tutte le attività ad essere ad esclusivo scopo di lucro: locali, ristoranti, pub, sono macchine da soldi a discapito della qualità e della vera passione per il lavoro.

Chi ce lo fa fare? Perché stiamo qui a sopportare mentre fuori c’è un mondo dove, dopo una giungla del genere, ci mangeremmo tutti?  Che poi Roma è anche più bella da turisti, uno può tornare quando gli pare. La risposta alla domanda? Nessuno. Il problema è che noi romani siamo mammoni, dolci, romantici, e Mamma Roma è sempre Mamma Roma. E Roma ci manca anche se andiamo in settimana bianca, ci manca la sua caoticità, il lamentarci, la carbonara, il clima, Lungotevere, quando uno va via di Roma deve staccarsi da due famiglie: la propria e quella di Roma. Per quello chi se ne va sta male e prima o poi torna.

E allora come si fa? E allora si deve cambiare, a cominciare dalle piccole cose: dagli sguardi per strada, dal trovare i posti giusti, dal fare la differenziata, dall’attaccare bottone con gli sconosciuti, dal trovare le iniziative più fiche, dal non prendere l’autobus ma la bici. Difficile e incerto, ma è l’unica via. Di una cosa però siamo certi: c’e’ un cerchio del paradiso dedicato ai cittadini romani. E li’ gli autobus arrivano puntuali.

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