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Il romano a Trastevere

Di Carlo Alberto Salustri – Il romano a Trastevere è nel suo habitat naturale, è come il leone nella savana, il pinguino al Polo Sud, il cavalluccio marino nella barriera corallina. Vicoli stretti, sampietrini, case con soffitti a volta da spiare, vecchi che raccontano storie, romanità. Dopo un po’ di tempo che non ci va il romano ha bisogno di andare a Trastevere, è un pellegrinaggio. La romanità che trovi a Trastevere non la trovi da nessun altra parte, Campo de’ Fiori è troppo turistica, San Pietro troppo santa, Testaccio troppo popolare.

Cesare e Livia hanno bisogno di amore e romanità, di passare una serata spensierata in un bel posto, hanno bisogno di Trastevere. Arrivano verso le 7 e mezzo e già da Regina Coeli Cesare cerca parcheggio, per evitare il traffico di piazza Trilussa dove si sta fermi anche alle 2 di notte. Ovviamente prima di trovarlo deve fare tre giri del centro di Roma per poi parcheggiare all’angolo di un vicoletti e bloccare anche le Smart. Almeno hanno evitato il parcheggiatore abusivo che chiede 2 euro come tariffa fissa, che manco i parcheggi sotterranei di Montecarlo.

Una volta parcheggiato può ufficialmente iniziare la serata trasteverina, prima tappa: l’aperitivo. Hanno tre possibilità: per i cocktail vanno da Freni e Frizioni, Roma nord trasmigrata a Trastevere, per la birra il “Macche”, storico tempio di Manuele Colonna, per il vino l’enoteca di Piazza San Cosimato, intima ed economica. Dopo qualche secondo di indecisione Cesare prende in mano la situazione e decide di prendere una buona bottiglia di vino per bersela nelle piazzette trasteverine: Sant’Egidio, La Scala, Trilussa, piazza de’ Renzi. Livia lo ama per la sua scelta anticonformista, originale e romantica.

Già al secondo bicchiere Livia dice a bassa voce: “Ho fame”, adesso è Cesare che ama lei, anche perché sa che lei non vuole di certo il sushi, il sushi a Trastevere non c’è mai entrato. Vogliono entrambi la stessa cosa: una cofana di pasta romana. Lì non hanno nessun dubbio sul dove andare, ormai anche le osterie storiche sono diventate turistiche e hanno tutte la fila di giapponesi fuori. Per quello scelgono il punto di riferimento “d’acchitto” dei romani che conoscono Trastevere: la Gattabuia. E i due si avviano verso la parte più bella e antica del rione romano, quella al di là di viale Trastevere.

Brilli e affamati si fanno una passeggiata per Piazza in Piscinula, rubano uno sguardo fugace nel giardino di Santa Cecilia, contemplano lo spettacolo di piazza dei Mercanti. Arrivano e quasi di corsa scendono nell’ex carcere papalino del ‘600 e si sentono a casa, nella romanità. Neanche hanno bisogno di leggere il menù di fritti romani, bruschette, primi, pajata, trippa, coda, coratella, saltimbocca. Al cameriere dicono decisi: “Intanto due carbonare”.

E’ solo l’inizio, dopo la loro preferita si fanno l’intero arco culinario romano, il tutto condito “dar vino bono”. Non vorrebbero più andare via ma devono perché sennò ordinano un altro tiramisù. E per la seconda parte della serata tornano di nuovo dall’altra sponda di Trastevere, quella nuova, quella mondana. E anche qui c’è solo un posto dove poter andare a bere, in mezzo alla miriade di posti o superfichetti o superturistici c’è lui, Marcello, che resiste ormai da tempo immemorabile con il suo Bar San Calisto. Tant’è vero che una delle domande retoriche dei trasteverini è “è nato prima Trastevere o il Calisto?”. C’è anche un bel documentario di Ivano De Matteo che racconta la vita del Calisto che si chiama Barricata San Calisto.

Non si sa, l’unica certezza è che l’atmosfera che c’è al Calisto è rimasta in pochissimo posti di Roma. Il vecchio proprietario, Marcello appunto, che ne ha viste di tutti i colori e ti tira fuori sempre la sua perla di saggezza. I camerieri romani e affabili, che ti prendono in giro e ti mettono in difficoltà quando stai con la ragazza, perché la loro risposta pronta non ce l’avrai mai. Prezzi popolari, alcol vecchio stile, interni romantici e vintage, al Calisto il tempo si è fermato. Così affascinante che anche Sorrentino l’ha scelto come location per La Grande Bellezza.

Dopo qualche amaro al Calisto si spostano naturalmente a piazza Santa Maria in Trastevere, dove c’è un’umanità caleidoscopica: dai punkabbestia con i cani e turisti giovani di tutto il mondo fino a musicisti canterini, il motivo valido per andare in piazza oltre alla bellezza del posto.

Quando ormai è l’alcol a farla da padrone, si apprestano a tornare alla macchina che non si ricordano assolutamente dov’è parcheggiata. Per questo gli succede la cosa più bella della serata, si perdono per i vicoli di Trastevere, perdersi per i vicoli trasteverini dovrebbe essere patrimonio dell’Unesco. E scorgendo tutta quella bellezza inaspettata, quella romanità ancestrale, quella storicità sorprendente, pensano alla tradizione romana, alle nonne di Trastevere, e gli viene una forte, profonda, trascendentale, romanissima voglia di un’altra carbonara.

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